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Amore ai tempi del Covid19

di Mille Battute

BACKSTAGE

Oggi abbiamo chiesto alle persone come si vive, cosa si pensa, cosa si scrive fissando sempre le stesse 4 mura durante una quarantena. Queste sono le storie che ci hanno raccontato. Ora noi le raccontiamo a voi.

AMORE AI TEMPI DEL COVID19

Alessandra Castiglione

SABATO 7 MARZO
Siamo finalmente approdati al divano, abbiamo mangiato una discreta pizza, ci siamo disinfettati per bene le mani sia prima che dopo la cena ed ora sei con la testa appoggiata alla mia, sento i tuoi capelli in bocca.
Mi piacciono lunghi e tu continui ad andare da quella-lì a tagliarli.
Quando protesto mi dici che sei più pratico così, che la parrucchiera ce l’hai comoda sotto l’ufficio. Scherziamo sul fatto che quella-lì te li taglia sempre troppo corti ed io non posso passarci la mano quando ti accarezzo la testa o quando facciamo altro.
Ho la tua testa appoggiata alla mia tempia, il tuo corpo già foderato di pigiama si sta rilassando.
Avvolto nella mia sciarpa rosa ti sei già fumato la tua sigaretta di rito. L’ultima prima di andare a dormire.
“chiudi che fa freddo, dovresti fumare fuori sul balcone, come faccio io” faccio finta di protestare tirando su la coperta di pecora fino alle orecchie.
“oseresti mandarmi sul balcone?” hai anche la faccia tosta di fare gli occhi increduli.
“certo, che diamine! Sai che non sopporto l’odore stantio di sigaretta che rimane nella stanza”
“non voglio andare fuori” perseveri nella tua protesta “fa freddo”, con gli occhi stai ridendo, sai anche tu che è una farsa.
“appunto, rinuncia, cosi fumi meno”
Sai che sono testarda, ti avvii all’ingresso prendendo il cappottino e mostrandomelo cerchi di farmi sentire in colpa.
Alzo le spalle ed allargo le mani “puoi sempre rinunciare”
Giammai! Tu che sei più testardo di me e soprattutto ora ne hai fatto una questione di principio.
Scegliamo un film che danno alla tv. Il pianeta delle scimmie. Tanto non lo guarderemo, domani mattina ci dobbiamo svegliare presto, dobbiamo andare sulla neve.
La stanza è buia, ci sono i soliti rumori di fondo, il frigorifero che ronza, i vicini che guardano la tv ad un volume sempre troppo elevato, la luce azzurrognola della televisione ti consente di trovare la coperta.
“abbiamo il pouf nuovo stasera” un affarone da 40 euro usato.
“figo, hai fatto bene a prenderlo”, finalmente possiamo stendere le gambe su questo maledetto divano a due posti.
Mai avrei pensato a quanto l’avrei usato, dopo.
Ti abbraccio, mi prendi le mani. Pregusto già la sensazione della tua pelle nuda addosso, perché tanto è così che finiremo, via i pigiami, faremo l’amore come sempre e poi ci addormenteremo abbracciati.
Poi verso le 3:00 tu russerai, ed io ti maledirò…
Il tuo cell vibra, quel suono fastidioso TIN TIN notifica l’arrivo di un messaggio.
Ma non dorme?
Cosa si sarà inventata questa volta?… penso, mentre ti allunghi per leggere il messaggio.
Lo leggiamo insieme, sa essere fastidiosa e petulante persino attraverso i tasti che pigia, non ce la fa è più forte di lei.
Qualcosa però cattura la nostra attenzione.
bla bla bla…
Bozza
Dpcm del governo
ma che diavolo?
Ti stacchi da me, gli occhi incollati al telefono in cerca di una conferma o di una smentita.
Cambio subito canale in cerca di qualche notizia da fonti più ufficiali di facebook.
È appena evasa la notizia
Secondo indiscrezioni
La bozza del governo
Il decreto potrebbe essere emanato già da domani
Faccio zapping tra i canali, la notizia si ripete, che sia vero?
Maddai è la solita FakeNews.
Al TG24?
Sono diventati bravissimi, sembrano vere.
E poi fino a che non esce in Gazzetta Ufficiale, capirai…
Capirai. Oh, nei giorni a venire avrei capito anche fin troppo bene.
Il mio cervello non vuole cogliere la gravità dell’informazione.
I nostri occhi si incontrano.
Tra di noi cala il gelo.
Scatti in piedi, sei di fronte a me, mi guardi, non sai cosa fare.
Scappi in camera, appallottoli il pigiama in quel modo strano per far finta che sembri piegato e lo cacci nel cassetto.
È ancora lì, nella stessa posizione a fare coppia con le calze colorare e le tue mutande.
Ti infili la tua tuta blu, quella da casa, quella macchiata di unto che avrei dovuto mettere da lavare.
Non mi ricordo nemmeno che scarpe avessi quando sei uscito.
“amore devo andare” eri già sulla porta, una nota di agitazione nelle corde vocali.
“non posso rischiare di rimanere incastrato in Italia, e se mi chiudono le frontiere?
Come faccio, l’ufficio…”
“sì, sì, è ovvio, vai, ci mancherebbe”
Sapevo che quella notte non sarebbe successo nulla, ma non potevo trattenerti.
Ti ho abbracciato, sapevi ancora di divano, di pigiama, ma tra di noi c’era già il ruvido del cappotto.
Ti ho dato un bacio veloce sulla bocca, di quelli che non ti piacciono perché sono sbrigativi, ma avevi fretta non c’era tempo per le smancerie.
“Cosa facciamo se chiudono le frontiere?”
“Ma no, non chiuderanno, adesso alzeranno il polverone per qualche giorno e vedrai che già lunedì ci vediamo”.
“ora vado, ciao Tesoro”
Ciao. ciao.
Ho chiuso la porta, i tuoi passi che scendono le scale.
Ancora oggi quando sento il vicino che le sale una parte folle di me spera sempre che sia tu.
Il CLAK della serratura. E poi Silenzio.
Il primo di una lunga serie.
Sono le 22:00 mi aggiro per casa in preda all’angoscia, spengo la tv infastidita, cerco di andare a letto, ma non prendo sonno.
Sta per arrivare qualcosa di brutto, me lo sento, non ci vedremo domani, lunedì e nemmeno quello dopo.

DOMENICA 8 MARZO
Sono le 6:50 e sono già sveglia con le mani aggrappate al telefono.
Il Presidente del Consiglio Conte ha firmato il Dpcm.
Ha predisposto le prime disposizioni attuative, recanti le misure urgenti in materia di contenimento, per la gestione dell’emergenza epidermiologica da COVID-19. Il Coronavirus.
Epidemia, emergenza, sanità pubblica
I miei occhi increduli scorrono sullo schermo del cellulare tra le notizie pubblicate on line, mentre la consapevolezza che la faccenda si sta facendo seria cresce, e con lei l’ansia.
La sento nelle viscere, il battito che accelera, mi giro e mi rigiro nel letto, ho caldo, ho freddo, mi alzo, mi siedo.
La cosa più fastidiosa di quando ti salgono gli attacchi di ansia è quel senso vischioso di irrequietezza, più ti agiti e ti scuoti per levartelo di dosso e più non ti lascia andare.
Vado avanti nella lettura, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus nella regione Lombardia bisogna evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori nonché all’interno dei medesimi.
evitare, non significa… vietare
in entrata ed in uscita, frontiere incluse?
Cerco con foga il cavillo, la via d’uscita, autorizzano gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero spostamenti per motivi di salute.
comprovate esigenze lavorative, comprovate da cosa? che significa?
situazioni di necessità
ma io devo vedere il mio ragazzo, è chiaro che sia una necessità, un’urgenza, un bisogno!
O forse no.
Mi salgono le lacrime agli occhi.
Sono le 7:30 del mattino e non so cosa fare.
Controllo il telefono, nessun messaggio, nessuna chiamata. Nessun accenno di panico elvetico.
Mi chiami alle 10:00, ti osservo incredula mentre intingi con dedizione il biscotto nel latte.
Ma non hai nemmeno la decenza di presentarti con la faccia gonfia e gli occhi arrossati dal pianto?
“buongiorno amore” mi sorridi serafico attraverso la video chiamata.
“buongiorno??? Non ci vedremo per giorni, ho la gastrite e tu prendi un caffè come se fosse una domenica qualunque!?”
“amore andrà tutto bene, fai passare qualche giorno e ci rivedremo come sempre”
Cambiamo discorso, cosa fai oggi?”
Mi adeguo, ecco cosa faccio oggi.

MARTEDÌ 31 MARZO
È quasi passato un mese.
Non ci siamo ancora rivisti e non abbiamo nemmeno una fottuta data per iniziare il count down.
Vivo abbarbicata ad un mondo parallelo.
In questo mondo quando esco di casa non c’è nessuno.
O meglio, oramai non faccio più nemmeno quello, scendo per andare dal tabaccaio in piazza di soppiatto, vestita possibilmente di grigio cosi da confondermi con l’intonaco delle vecchie mura.
Sento gli occhi delle anziane che mi fissano dalle finestre, le vedo scuotere le vecchie teste con disapprovazione.
Le strade sono lastre di asfalto, grigie e terribilmente silenziose.
Il silenzio alle volte è assordante.
I campi sono vuoti, le serrande dei negozi sono abbassate.
Ho preso l’auto per andare al supermercato. La stessa strada di sempre, eppure non era la stessa, era cupa, vuota, come se odorasse di morte.
Non faccio la spesa da due settimane, ogni sera rimando.
Sto procrastinando come facevo con la palestra.
si, quella in cui non andavi nemmeno nel mondo di prima.
Non ho voglia di fare la coda all’ingresso del supermercato.
Non ho l’autocertificazione, ho smesso di stamparla alla terza versione.
E non ho voglia di vedere gli scaffali con i cartelli “vietato acquistare beni non di prima necessità”
Caro Governo, soffro di ansia e dipingo per stare meglio, chi dice che per me la tela ed i colori non siano beni di prima necessità? Senza il tubetto acrilico del blu non posso finire di colorare il cielo, il lago, il prato, le montagne.
La mia piccola tela, mi fissa con una pozza bianca nel mezzo.
Ho letto che alcuni Comuni fanno entrare al supermercato in ordine alfabetico.
Meno male, mi chiamo Castiglione come mio padre e non Zanlorenzi come mia madre, pensa che sfiga il viceversa.
La domenica oramai spero sempre che ci sia il sole, cosi posso scendere nel giardino del vicino.
Mi consente di stare sul prato a leggere a patto che stia nel cortile, nell’angolo ed in disparte. Ovvio.
In questo mondo sono ricca perché sono sana.
Perché non ho perso nessuno dei miei cari, lavoro e lavoro full time in smart working. La mattina, faccio due passi e sono al lavoro, gratis, senza traffico e senza casello.
Che culo, potrei persino darmi al racket del lievito madre.
Niente tacchi in questo mondo, niente tubini di Armani, manco un po’ di fondotinta o rossetto Chanel.
Passo dalle ciabatte alle scarpe da tennis. Dal pigiama di pile, alla tuta di pile.
Ci sono le tue ciabatte all’ingresso. Nello stesso punto in cui le hai lasciate.

VENERDÌ 03 APRILE
Ho in mano l’estratto conto della banca, ci sono delle gocce sopra.
Una goccia bagna la carta, l’inchiostro stinge, si allarga.
Le gocce ora sono due, sto per piangere.
No, bellezza non stai per piangere, stai già piangendo. Ah.
D’improvviso, come un’ondata, mi sale la nostalgia della mia vita di prima.
Oggi sarebbe dovuto essere il 3 Aprile.
Eccolo il 3 Aprile, un venerdì del cazzo, come ce sono stati tanti altri. Utile come la forchetta nella minestra.
Vorrei solo che mi concedessero di vederti, ma oramai la rassegnazione sta prendendo il sopravvento, non so più nemmeno che sapore hai.
“ma con lui come va? Non vi state vedendo? E ti manca?” mi chiede un amica mentre il suo fidanzato dietro di lei, in giro per casa in sostituzione del filippino pagato in nero, sta passando l’aspirapolvere come se non ci fosse un domani. Manco fosse l’estensione del pene.
no, mia adorabile portatrice sana di un solo neurone, se ascoltassi il telegiornale lo sapresti, siamo in due stati diversi e si da il caso che io non possa lasciare il mio comune se non per comprovate esigenze lavorative, sanitarie o di sti cazzi, per cui perché non ti fai una sana scopata invece che farmi perdere tempo con queste domande idiote che hanno solo il potere di innervosirmi??
“grazie tesoro per essermi vicina in questo momento, io ed il mio tesoro teniamo duro e vi pensiamo tanto”
peace&love, mavaff…
Dormo sul divano da un mese, abbracciata al cuscino tigrato.
Il letto è troppo grande. Sono stufa di svegliarmi di notte e di non trovarti.
Ci sono i tuoi succhi di mela nella credenza, gli edamame in freezer, il barattolo di crema alla nocciola aperto, sono stufa di sentire la tua mancanza.
Se penso che potrebbe mancare un altro mese, non riesco a trovate le parole per dirti la voragine che mi si apre nel petto.
Alle volte piango, non solo perché vivo da sola tra queste 4 mura.
Non solo perché ho colleghi, amici, una famiglia ed un ragazzo in 2D.
Piango perché mi mancano i miei colori, i miei rumori, i miei odori.
Fatemi uscire.
Chiedo scusa a tutti quelli che sono in ospedale, a chi sta attraversando un lutto, a chi ha dovuto rimandare il matrimonio, a chi non potrà partecipare ad un funerale, a chi è attaccato ad un respiratore, a chi sta lavorando con i turni peggiori, a chi sta lavorando con la paura del contagio, a chi ha perso il lavoro, a chi non sa come arrivare a fine mese.
Chiedo venia perché so che il mio disagio non è nulla in confronto al vostro, ma ciò non toglie che io lo senta e che senta il bisogno di condividerlo.”

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