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Io in 40ena

di Mille Battute

BACKSTAGE

Abbiamo chiesto alle persone come si vive, cosa si pensa, cosa si scrive fissando sempre le stesse 4 mura durante una quarantena. Queste sono le storie che ci hanno raccontato. Ora noi le raccontiamo a voi.

IO IN 40ENA

Emanuele Cantoni

“Le finestre si aprono sugli stessi cortili. Anche i terrazzi si affacciano sulle stesse vie e sugli stessi giardini di sempre.
Le tapparelle dei palazzi, però, sono diverse. Sembrano le sottane delle donne quando si avvicina l’estate: alzate più del solito, più provocanti.
Sono gli indumenti intimi delle nostre case, esibiti a viaggiatori immobili in tempo di quarantena, che raccontano la profondità di vite sinora ignorate.
Quanti sono quelli che vivono nell’attico della scala B? A che piano abita la signora col carrellino scozzese che arriva sempre al nostro pianerottolo, soltanto perché non fa in tempo a uscire dall’ascensore?
Dal momento in cui le finestre si sono scoperte, abbiamo una relazione diversa con le persone che sino a ieri erano figure prive di nome e spesso di valore.
Oggi le tapparelle sollevate ci offrono una realtà che ci fa incuriosire e avvicinare agli altri, restituendoci quella generosità, delicatezza e comprensione che ci hanno sempre tenuti lontani e indifferenti.
A Milano la solidarietà e le mani tese sono una prerogativa di appartenenza. Pochi giorni fa, di fronte a casa mia c’era una giovane coppia sul balcone; con lei ho cantato l’inno nazionale: il mio cellulare illuminava e riprendeva i miei due vicini mentre gridavano con fierezza l’amore per il nostro paese.
Nello stesso istante, mia moglie e io sovrapponevamo le nostre voci alle loro, con battute sincronizzate da un invisibile direttore di quella condominiale orchestra.
Non avevo mai guardato quelle finestre e non avevo mai visto chi ci fosse dietro, perché erano sempre coperte. La pandemia le ha svelate: la paura e l’isolamento hanno costretto quella coppia a cercare qualcuno, forse qualcosa.
In quell’istante, di fronte a quei ragazzi, mi sono sentito uno specchio: piatto e indurito come le lastre che mi separano dal salumiere, dalla farmacista o dall’autista che continua a trasportare magici eroi dalle case dove abita il timore, alle cliniche dove si affronta la minaccia.
Da casa mia, nella Milano che sta tornando a essere mia complice e amica, ho capito che davanti a me non c’era solo quella coppia, ma c’erano decine di persone. Uomini e donne che come me avevano abbandonato la solitudine e la sicurezza di una tapparella abbassata, per ricercare qualcosa di più grande, di più importante rispetto a quello che in silenzio ci aveva sempre tenuto distanti.
Dal mio isolamento continuo a guardare fuori, oltre. Anzi, mi rendo conto di avere un’altra opportunità per vedere molto di più di quanto abbia fatto abitualmente.
Adesso vedo la signora col carrellino scozzese salire al quinto piano; vedo un ragazzo che ama cantare e prendere il sole sul balcone. In isolamento vedo tavole apparecchiate, bimbi che studiano online, luci di lucciole premature che si mischiano nel vespro ai cellulari che sembrano lanciare messaggi in codice morse mentre scattano foto ai tramonti tersi che adesso si godono dalle finestre.
Osservo un mondo scoperto dalla vulnerabilità ma virtuoso nelle proprie vesti domestiche, intime.
Mi accorgo che accanto a me ci sono sempre le stesse persone, che ora si lasciano e dalle quali mi lascio osservare.
In questo momento siamo tutti più forti non per gli altri o grazie agli altri, ma insieme agli altri.
La quarantena ci sta raccontando un attimo di mondo in cui le sottane alzate delle nostre case dimostrano che siamo capaci di ospitare la vita degli altri nella nostra.
E ci ricorda che uno sguardo vigile e leale, fine e vigoroso, libero e personale, può regalare a ognuno di noi la compagnia che stiamo soltanto rimandando al prossimo incontro.”

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