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La mano sulla culla FILIPPINE 2018

di gaetano
la mano sulla culla

La mano sulla culla
FILIPPINE 2018

Annamaria Bruni

Ho ricevuto una mail a fine febbraio da parte di una certa Ana Martinez, photo-editor di Annabelle Svizzera, mi chiedeva se fossi interessata a pubblicare il reportage Crying Game.
Sono molto legata a questo reportage, per diverse ragioni.

E’ stato realizzato con i soldi del premio Nikon, partendo da Manila fino a Olongapo, Subic e Angeles City per raccontare il delicatissimo percorso di riabilitazione delle bambine vittime del commercio sessuale alla Preda Foundation.
Father Shay Cullen, il fondatore, mi ha invitato alla Preda Foudation ad Olongapo e mi ha affidato a Marlene, il suo braccio destro.

Prima di visitare la “Victoria children’s Home” padre Shay mi ha accompagnato nell’ufficio di Marlene:
“Innanzitutto dovresti conoscere la SUA storia, per capire meglio le nostre bambine.”
Ricordo il sole forte del mattino attraversare le finestre e formare dei cerchi bellissimi sulla scrivania.
Marlene da dietro la scrivania, sorseggiando un succo ha iniziato a raccontarsi.

Ha avuto un’infanzia normale fino ai sei anni, da piccola era innamorata di suo padre come tante altre bambine.
Per il suo sesto compleanno il papà decide di comprarle un regalo speciale e parte con lo scooter al villaggio vicino per esaudire il desiderio della figlia.
E’ periodo di tifoni, quindi il viaggio è complicato per via della pioggia e del forte vento.
Mentre sta tornando a casa, scivola con lo scooter e muore sul colpo.

Questo è l’avvenimento che cambia completamente la vita di Marlene.
La madre, rimasta vedova e senza lavoro, biasima giornalmente Marlene per la scomparsa del marito, addossandole tutta la colpa. Poco dopo la madre decide di risposarsi.
Il patrigno però non ha lo stesso carattere amorevole del padre biologico, anzi, dedito all’alcool passa le sue giornate ciondolando per casa, mentre la mamma è costretta a trovarsi un lavoro che la tiene via gran parte della giornata.

Lentamente Marlene cambia umore, diventa irascibile, scontrosa, taciturna, aggressiva.
La nonna materna è l’unica ad accorgersene e cerca di parlare amorevolmente con lei.
Dopo averla ascoltata, decide di portarla immediatamente all’ospedale dove le confermano la violenza sessuale subita dalla bambina.

Marlene sostiene che è stato il patrigno, ma a parte la nonna nessuno in famiglia vuole crederle.
La madre l’accusa di creare instabilità all’interno del nucleo familiare, la nonna materna muore poco dopo, e gli assistenti sociali si girano dall’altra parte.
Marlene è sola.

Scappa da casa e diventa una bambina di strada.
Si unisce ad altri numerosi bambini che popolano le strade di Manila, senza meta e senza rifugio, chiedendo l’elemosina per sopravvivere.
Un giorno viene avvicinata da una signora compassionevole, che mostra interesse per lei, l’accoglie in casa e la tratta come una figlia, Marlene si sente di nuovo protetta e al sicuro.

Non può rendersi conto, è solo una bambina, che la signora è invece una “Mama San”, adescatrice di bambini, e in poco tempo viene introdotta nel giro di clienti della signora.
Marlene si sposta tra Boracay, Cebu, Davao per soddisfare i clienti, turisti e non, fino agli undici anni, quando è venduta a una coppia tedesca.

Attraverso sotterfugi e documenti falsi finisce in Germania, dove vive un anno, per poi dover ritornare in fretta e furia a Manila a causa di problemi burocratici e di Visa.
“Ero un pacco postale. Non opponevo resistenza, non avevo sogni, non avevo speranza. Pensavo sarei stata usata per sempre.”
La madre di Marlene in tutto questo tempo continua a cercarla, con scarso successo, e finisce per avere un grave esaurimento nervoso con ricovero ospedaliero forzato.

Marlene non ha notizie della famiglia e continua a essere sfruttata, assieme ad altre bambine, con le quali non stringe mai legami, le bambine cambiano spesso, e altrettanto spesso spariscono.
Un giorno, mentre fa colazione all’alba con due clienti olandesi e un’altra bambina in un ristorante di Boracay viene notata dalla proprietaria del locale.

Ordina al bancone da mangiare e la signora le chiede chi siano quei due stranieri che sono con lei.
“Amici” risponde lei.  La cameriera le chiede anche chi sia l’altra bambina.
Lei replica “E’ mia sorella”, addestrata a mentire da molto tempo non si scompone.
La cameriera non desiste e le chiede il nome della sorella.

Marlene non sa cosa dire, perché non conosce il nome della bambina, e ciascun bambino ha un nome finto, è regola assoluta non conoscere niente l’una dell’altro, non fare domande, non dare risposte.
Spara un nome, e se ne va.
La proprietaria continua a guardarli da lontano e vuole saperne di più.

Non è la prima volta che vede bambini filippini in compagnia di adulti che non sono i genitori.
L’altra bambina seduta finisce di mangiare, si alza e va in bagno.
Vedendola la cameriera la segue e le chiede chi siano quelle persone con lei al tavolo, la bambina farfuglia, è in difficoltà, non sa cosa dire perché probabilmente è la prima volta che qualcuno glielo chiede. E’ spaventata, al contrario di Marlene.

Risponde che sono i genitori adottivi e dice che Marlene è sua sorella. La signora capisce subito che c’è qualcosa che non quadra e continua con le domande:
“Come ti chiami? Come si chiama tua sorella?”
La bambina da risposte completamente diverse da quelle di Marlene, i nomi non collimano.

A questo punto la signora chiama la polizia immediatamente e Marlene e l’altra bimba vengono portate alla Preda Foundation dove iniziano una terapia di recupero da trauma dovuto ad abusi sessuali.
Era il 1996.

Mentre raccontava questa storia Marlene, che oggi ha quasi quarant’anni, nonostante non sia la prima volta, si commuove spesso e mi chiede scusa, piange soprattutto parlando della madre, che ha poi perdonato e con la quale ha finalmente un ottimo rapporto.
La sua commozione ha scatenato la mia, e il ricordo del nostro pianto, un pianto intimo e liberatorio tra due sconosciute, è una delle emozioni più belle e sincere che la vita mi ha regalato.
La sua incredibile storia mostra come anche una singola persona possa fare la differenza ed essere lo tsunami della salvezza.
Oggi Marlene aiuta alla Fondazione Preda le bambine vittime di abusi e commercio sessuale.

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Annamaria Bruni

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