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Siete venuti a vedere EGITTO 2011

di gaetano
siete venuti a vedere

Siete venuti a vedere
EGITTO 2011

Annamaria Bruni

Allo scoppio delle manifestazioni di protesta in Egitto, nel gennaio del 2011, noi subacquei ci siamo trovati tutti senza lavoro, già dimezzato dal dicembre del 2010 perché uno squalo aveva attaccato dei turisti.
Il mio amico Giorgino insisteva da mesi perché io vedessi la discarica di Sharm el Sheikh, che si trovava a 15 km dalla città.
Diceva che era un’ottima occasione per incominciare a sviluppare dei reportage foto-giornalistici, giacché ero stanca di fare la fotografa subacquea.

E cosi all’alba partiamo per scoprire questo angolo di mondo sconosciuto ai turisti.
Al primo raggio di sole una quantità di mosche impressionante ci ricopre dalla testa ai piedi.
Diventiamo I signori delle mosche, in due secondi netti.
La discarica si estende su tre grosse fosse dove giornalmente i camion scaricano tonnellate d’immondizia, che vengono poi smistate e riciclate secondo il materiale.

Verso le otto del mattino, dopo che le capre hanno pascolato tra i rifiuti, gli operai iniziano a lavorare.
Li guardo e non riesco a capire come si possa resistere a queste temperature, lavorando senza guanti, senza stivali, senza nessuna protezione, immersi nei rifiuti come se fossero in una risaia.

Tutto viene riciclato: carta, vetro, plastica e anche umido, i beduini lo raccolgono per darlo come mangime a capre, pecore, galline o anatre che siano.
Nelle tre fosse ci lavorano moltissime persone, quasi tutti copti e provenienti dal medesimo paesino egiziano.
Il loro stipendio non è neanche male per quei tempi, 1500 lire egiziane mensili contro 800 che prende un poliziotto, ma le condizioni di lavoro sono assurde, l’odore acre della spazzatura che marcisce ti impedisce letteralmente di respirare, le mosche ti entrano di prepotenza ovunque, e il caldo ti toglie ogni forza.
Un girone dantesco.

Io, entrata nella parte della Reporter che non deve chiedere mai, mi atteggio, scatto a destra e a sinistra con nonchalance, e il mio amico Giorgino si molleggia a guida turistica elencandomi i perché e i percome sulla discarica.
Sopra queste tre fosse i lavoratori hanno costruito un piccolo paesino di capanne con dei materiali riciclati presi dalla spazzatura, e ci vivono e lavorano dai tre ai sei mesi per poi avere una breve vacanza.
All’improvviso si palesano dal nulla tre individui, che devono esser i capetti della discarica, o almeno cosi pare.
Quelli che assumono e licenziano mi sembra di capire.
Alle spalle della discarica c’è un bell’impianto di smistamento rifiuti nuovo di zecca, ancora imballato, donato dalla comunità europea e mai utilizzato.
Questi tre soggetti si stanno domandando se siamo giornalisti, fotografi o chissà chi, venuti per rompere le uova nel paniere.
Capiscono che siamo due fessi, di cui non devono preoccuparsi.
Che sono lì per noia, forse.

Nello stesso tempo che parliamo e discutiamo con chi ci tiene d’occhio, un piccolo gruppetto di ragazzi si avvicina e rimane in ascolto.
Si sposta silenzioso con noi ogni volta che ci muoviamo.
Giorgino sfodera il suo arabo e loro si fanno meno timidi.
Io scatto foto qui e li, faccio domande secondo me impegnate e Giorgino traduce quello che non riesco a dire.
Mentre da “Reporter Premio Pulitzer” continuo a scattare, un ragazzo dice qualcosa e sento Giorgino bofonchiare.

Senza guardarlo gli chiedo:
“ Che ha detto, Giò? ”
“ Ha chiesto se siamo venuti a vedere come vivono i poveri ”
Lo guardo basita, e lui “ Eh… ” .
Silenzio.
“ No ma… eh cioè… che vuol dir… uhm… ” farfugliamo in due una risposta.
Ma una risposta non ci viene, perché non c’è, ci ha spiazzato completamente.
L’ha detto senza ironia, senza malizia, così, perché quella era la realtà.
E noi lì, che avremmo avuto la bocca aperta se non fosse stato per il miliardo di mosche, di sasso.
Come due coglioni.

Questa frase non l’ho mai dimenticata, ed è stata una grande lezione.
Quando ti approcci a determinate realtà lo dei fare con i guanti, con estrema sensibilità e attenzione, capirne le circostanze e i tempi.
Sempre con rispetto e riguardo.

E se lo fai, e lo fai sinceramente, davanti a te avrai un miliardo di possibilità inaspettate, che ti permetteranno di entrare in totale empatia con l’ambiente che ti circonda e con le persone.
Purtroppo non ho nemmeno una foto di quel ragazzo, e la memoria ne ha cancellato il volto.
Avrei voluto avere l’occasione di ringraziarlo oggi, stringendogli quelle mani sporche ma cariche di dignità.

GALLERIA FOTOGRAFICA

Annamaria Bruni

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