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L’ho preso

di Mille Battute

BACKSTAGE

Abbiamo chiesto alle persone come si vive, cosa si pensa, cosa si scrive fissando sempre le stesse 4 mura durante una quarantena. Queste sono le storie che ci hanno raccontato. Ora noi le raccontiamo a voi. Il tempo scorre.

L’HO PRESO

Fiammetta Coggi

“Non so come, essendo stata fin dai primi attimi di allarme attentissima ad evitare le situazioni di rischio. Forse è stata sufficiente una salita o una discesa in ascensore a Milano…
A casa per dieci giorni la febbre si riproponeva puntuale sui 38, tutti i pomeriggi, nonostante Tachipirina ed antibiotico e dopo che il medico di base mi aveva consigliato di raddoppiare la dose di antibiotico (!!!) ho cominciato a sentire il peso del respiro e dei polmoni. 112, ambulanza, ospedale Fatebenefratelli, lastra: polmonite bilaterale e tampone positivo.
Tre giorni di ricovero nel P. S. organizzato come un ospedale da campo: circa 80 malati, sempre con le mascherine giorno e notte, su lettini, brandine, poltrone e seggiole, quasi tutti con ossigeno, di tutte le età e le condizioni.
Molti stavano veramente male; abbiamo visto più volte trasportare dei morti.
Mi hanno colpito i medici, gli infermieri, gli assistenti, quasi tutti giovani, che si muovevano a fatica nelle loro tute bianche, e ciò nonostante sempre di corsa, di letto in letto, a volte invitando i malati a rimettersi la mascherina: “se ci infettiamo noi poi chi vi cura?”, quasi nell’estremo tentativo di esorcizzare un destino ben noto.
Ho ancora oggi l’avambraccio destro che dal blu sta passando al verde marcio a seguito di un prelievo arterioso eseguito da un infermiere che indossava tre paia di guanti ed aveva completamente perso la sensibilità.
Pazienza, tanta pazienza e perdita totale del controllo della situazione: ecco la sensazione dominante in quei tre giorni nei quali tutto avrebbe potuto succedere. Lentamente però sentivo crescere in me anche una fiducia solida in chi più di noi ha in mano la nostra sorte. “Quando sono debole è allora che sono forte”, cominciavo a capirlo.
Mi hanno dimesso dopo tre giorni perchè i miei polmoni saturavano bene, nonostante la polmonite: ringrazio I miei genitori, il fatto di avere smesso di fumare più di dieci anni fa e di aver sempre praticato sport.
Una persona in particolare vorrei ringraziare anche se probabilmente non leggerà mai le mie parole: il Dottor Maurizio Sala, giovane medico che instancabilmente dirige il reparto, senza orari, sempre con grande umanità e disponibilità verso chiunque, in ogni occasione, consapevole di poter essere infettato da un momento all’ altro. Un vero eroe.
Ora sono a casa in isolamento obbligatorio da una settimana e ricevo due volte al giorno la telefonata dei medici del Centro Covid, che controllano i parametri e che io stia bene e non abbia problemi.
Perchè vi racconto tutto questo? Perchè ne sto uscendo con una crescente, inaspettata positività. E credo che l’umanità, quella autentica – non misurata in base al gradimento dell’accoglienza migranti – possa prevalere sui peggiori difetti. Perchè sono convinta che, se ognuno farà la sua parte, ne usciremo e una volta per tutte.
Pazienza, dobbiamo avere ancora tanta pazienza e noi l’avremo ma comincio a vedere una luce in fondo al tunnel e desideravo tanto comunicarvelo. Teniamo duro e continuiamo a combattere la buona battaglia!

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