BACKSTAGE
Abbiamo chiesto alle persone come si vive, cosa si pensa, cosa si scrive fissando sempre le stesse 4 mura durante una quarantena. Queste sono le storie che ci hanno raccontato. Ora noi le raccontiamo a voi.
LUNGO LA FERROVIA
Federica Taddia, Stefano e Giovanni Selvatici
“Il niente. Così, all’inizio, abbiamo definito questo periodo di forzato isolamento. Il niente.
Ma cosa significa niente? Niente aperitivi, cene, partite di calcio allo stadio, lezioni, allenamento, scuola, abbracci, saluti, ritrovi, incontri con gli amici, gite fuori porta, corse mattutine, un caffè al volo, la vita.
É davvero così? Forse no. Forse, il tutto di prima era il niente e il niente di adesso è il tutto.
Quante volte ci siamo chiesti -Dove avrò messo quelle fotografie, che non vedo da anni, te lo ricordi?- No, non ce lo ricordiamo. E non ce lo ricordiamo perché nemmeno sapevamo che i muri bianchi di casa ora sono bianchi. Abbiamo deciso di cambiare colore la scorsa estate; ah è vero, è già passato quasi un anno. Non lo ricordavamo, ma lo sappiamo ora mentre, con gli occhi lucidi, andiamo a ricercare quelle vecchie, sbiadite, fotografie.
La strada di casa (sì, perché anche dentro la nostra casa abbiamo una strada da percorrere), è impervia, in salita, difficile da seguire. Ma è la via che conosciamo, la fidata strada maestra, che ci porta alla destinazione finale del nostro noi, sia esso in famiglia o da soli. Noi e la nostra anima, quell’io che ci unisce agli altri, senza dover per forza essere nello stesso posto, nello stesso momento.
É un pallone lasciato per troppo tempo fuori, all’aperto, sotto la pioggia, sgonfio e sporco. Un vecchio pallone che ora, nel niente, diventa un tutto, per accompagnarci lungo il percorso tracciato da una ‘solo apparente’ solitudine. Sì, perché si può essere soli anche in mezzo a un milione di persone, avvolti da una sinfonia di voci che, sfortunatamente, non riusciamo più ad ascoltare. Mentre in questa solitudine, i cassetti della memoria fanno riaffiorare tutto il brusio a cui, prima, non facevamo nemmeno caso, ma che ora ci manca enormemente.
É una passeggiata, la nostra passeggiata. Quel momento di quotidiana evasione, il cammino ordinario lungo le rotaie, seguendo la linea arrugginita della ferrovia; con il capo chino, fissando lo scorrere del terreno sassoso sotto i nostri piedi.
E proprio ora, anche il fastidioso rumore del treno, di quei due singoli vagoni vuoti, che intralciano la strada maestra rubandoci un po’ del nostro preziosissimo tempo silenzioso, diventa, per noi, una inebriante musica nel cuore. Aspettiamo quel piccolo treno, continuando a seguire le rotaie lungo il loro percorso di campagna. Poi, con la palla racchiusa in un abbraccio, urliamo al capotreno la nostra gioia per il rumore del passaggio a livello che si sta abbassando, mostrandogli orgogliosi il nostro pallone, non più così sgonfio e sporco.
Ed eccoci qui a esultare di gioia, salutando i pochi passeggeri e dedicando loro, nell’immediato pomeriggio, il nostro goal più bello, all’incrocio dei pali, durante la finale personale della partita più importante che ci troviamo a dover disputare. Per la nostra memoria ritrovata, la memoria di quelle vecchie fotografie di famiglia, che ci ricordano di rallentare, per provare a riflettere sulla profonda opportunità che ci viene ora regalata.
Perciò, stiamo attenti a quel passaggio a livello, sta tentando di inviarci un messaggio. Rallentiamo, respiriamo, ascoltiamo, siamo gentili. E non dimentichiamoci più del nostro vecchio pallone. E non lamentiamoci più della scricchiolante linea ferroviaria.
Il niente è il nostro tutto. Impariamo a farne tesoro.”
GALLERIA FOTOGRAFICA
Federica Taddia, Stefano e Giovanni Selvatici