BACKSTAGE
Sarajevo: città reduce. Impressioni raccolte a Sarajevo, a 20 anni di distanza dalla guerra.
SARAJEVO: CITTÀ REDUCE
“Sarajevo nonostante abbia salutato la guerra più di vent’anni fa porta ancora addosso i segni del conflitto. Con un piede nel passato si arriva alla Baščaršija, l’antico bazar, il quartiere turco e centro culturale della città, dove il muezzin chiama alla preghiera mentre in sinanoga si celebra il Shabat. Sarajevo però non è solo melting pot religioso, quel piede porta anche davanti agli edifici passati alle armi dalle mitragliatrici dei cecchini, per arrivare più lontano agli 800 metri di tunnel che rappresentavano la fuga dall’occupazione serba. Sarajevo è una città reduce, dove il museo permanente dell’orrore di Srebrenica condivide il terrore delle migliaia di “niŝan” nei tanti cimiteri sparsi, senza piani regolatori, per la città: durante la guerra, l’esercito serbo concedeva solo qualche ora di cessate il fuoco per seppellire i cadaveri. “Non dimenticare” sembra dire la città a chi la vive e a chi la incontra per la prima volta: sui suoi marciapiedi le sue “rose” a ricordo delle granate sparate sulla città durante l’assedio.”
Quell’anno fino a maggio le parole patirono l’inferno per dare calorie.
Nel terzo dell’assedio bruciò lo scaffale del teatro,
prima Brecht, poi alla rinfusa Strindberg, Shakespeare, Racine,
infine con le lacrime anche Čechov.
Il quarto anno toccava alle poesie,
ma la guerra finì e le risparmiò.
Classifica del fuoco: ultima destinata la poesia,
in guerra la più urgente.