Hué, in ricordo del monaco Thich Quang Duc
VIETNAM 2003
Dentro la cittadella imperiale all’una del pomeriggio.
Il sole uccide. Sotto un albero tre operai dormono. Vicino a loro un mucchio di travi di legno.
Nel silenzio una voce maschile e una musica lenta si alzano in cielo. Qualcuno ride. Un motorino scarburato passa in prossimità del canale.
I pescatori immettono silenziosamente gli ami nell’acqua torbida.
E’ tutto lento, calmo, pacifico, impalpabile.
Si respira una grande e dignitosa purezza spirituale. La purezza di una città e di una popolazione che hanno resistito ad anni ed anni di angherie.
Intorno a Hué colline boscose, le silenziose tombe imperiali, l’acqua del fiume, le spiagge remote.
Sul pennone della cittadella sventola l’enorme bandiera nazionale.
A qualche chilometro da qui, alla pagoda di Thien Mu, nel 1963 il monaco Thich Quang Duc salì sulla sua Austin e si recò fino a Saigon.
Thich Quang Duc aveva dei fiammiferi con sé.
Andò a sedersi in mezzo ad una strada trafficata.
Si cosparse di benzina e si diede fuoco.
Al presidente Diem non gli fregò molto se quel religioso si era dato fuoco per protestare contro la sua politica filocristiana.
Diem era uno che preferiva le feste ai problemi del popolo.
La sua adorabile cognata, Madame Nuh, affermò allegramente che l’autoimmolazione del monaco era stata un barbecue party e concluse con un ‘lasciateli bruciare, noi applaudiremo’.
Non applaudirono per molto: qualche mese dopo Diem venne assassinato dai suoi stessi militari e Madame Nuh rifugiò all’estero.
Alla pagoda di Thien Mu la Austin c’è ancora. I monaci e le monache la lucidano e la puliscono.
Alla pagoda di Thien Mu c’è la Dai Hoang Chung, l’enorme campana da duemila chilogrammi.
La leggenda dice che il suo suono sia udibile ad un raggio di quindici chilometri.
Mi piacerebbe suonarla in ricordo di Thich Quang Duc.